Alessandro Magnasco: le Tenebre nel Secolo dei Lumi
RUBRICA – DOSSIER
Nell’immaginario collettivo quando si vuole esemplificare una situazione di arretratezza e decadenza culturale, si usa la metafora del Medioevo. Il secolo di Giotto e Simone Martini, di Nicola e Giovanni Pisano, di Benedetto Antelami e Arnolfo Di Cambio e potrei passarci la quarantena a elencare nomi di altri grandissimi artisti. Bene, per me il secolo meno entusiasmante della Storia dell’Arte è invece proprio quel Settecento che, dalle brume superstiziose del Medioevo, ci avrebbe liberato. Con le sue frivole feste galanti rococò e il suo tardo-barocco epurato dalle folli ansie mistiche del Seicento, con il vedutismo ingegnoso dei veneziani ma senza lo stupore poetico di un Poussin o il mistero selvaggio della natura dei fiamminghi, con la sua ammirazione per l’antico indirizzata unicamente all’applicazione di freddi schemi razionali spogli tanto del dionisiaco ellenistico quanto dell’apollineo neoplatonico, il maggior delitto del Secolo dei Lumi è aver creduto di poter dissipare le tenebre. Che invece ci appartengono, come sa persino San Paolo. Per questo uno dei meno studiati pittori del Settecento, per me, è anche il più grande almeno in Italia: Alessandro Magnasco.
Spirito inquieto e visionario, amava dipingere scene grottesche con protagonisti zingari e briganti in figure oblunghe e spettrali, congreghe religiose dentro cupi monasteri, soldati sullo sfondo paesaggi burrascosi dalla pennellata corrosa, maschere di pulcinella in ambientazioni inquietanti e torture della santa inquisizione. Laddove lo spirito del suo tempo cercava la luce della ragione che illumina il mondo, Magnasco ci invita al gran ballo degli emarginati, delle ombre, dei cuori neri. “Il Furto Sacrilego” è uno dei suoi dipinti più potenti in cui riprende un fatto di cronaca accaduto nel pavese il 6 gennaio del 1731 – quando dei ladri entrarono nella chiesa di Santa Maria di Capomorto ma non riuscirono a rubare nulla perché allontanati da strane presenze e sinistri rumori – e lo trasforma in “Essi Vivono” di John Carpenter o “L’armata delle tenebre” di Sam Raimi, aggiornando le “Danze macabre” del Quattrocento ai mostri che nemmeno la ragione riesce a dominare.
Chi l’avrebbe mai detto che gli scheletri di James Ensor e Paul Delvaux – espressionista il primo, surrealista il secondo – fossero già sorti nel cuore di tenebra di un illuminista.
© Testo di Salvatore Setola
In copertina: Interrogatori di Alessandro Magnasco – (se si condivide l’articolo indicare le fonti).