L’Arciconfraternita del Gonfalone del Santo Sepolcro
RUBRICA – DIVINI DEVOTI
L’Arciconfraternita del Gonfalone del Santo Sepolcro è stata forse una delle più antiche congreghe della città di Aversa, certamente una delle più ricche della diocesi. Risiedeva nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, attestata già nel XV sec. e considerata da tutti uno pregevole esempio di architettura barocca napoletana. Abbiamo conoscenza di una confraternita del Gonfalone a Roma fin dal XIII sec. quando Bonaventura da Bagnoregio (uno dei padri del francescanesimo) dettò la regola della nuova congrega ispirata al principio di “santificare il mondo santificando se stessi” e ne suggerì anche l’abito liturgico: bianco con una croce rossa e bianca su sfondo celeste.
Ad Aversa, anche se sono incerte le notizie della fondazione dell’omonimo sodalizio, possiamo ipotizzare che sia stata fondata già nel XIV sec. e forse “aggregato” all’arciconfraternita dell’Urbe. Questa teoria è avvalorata dalla presenza di alcuni elementi di architettura tardo-romanica nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, che giustificherebbero l’esistenza di un edificio religioso già sul finire del XIII sec., ma anche dal fatto che nelle prime sante visite la congrega è riportata come già istituita nella chiesa.
Quando il vescovo Balduino de’ Balduinis ispezionò la chiesa di Santa Maria degli Angeli, riportando tutte le informazione nella sua “Santa Visita”, riportò che la confraternita si reggeva con le elemosine dei confratelli, questi provvedevano anche alle esequie dei propri ascritti. Ma non erano soltanto le opere di culto e la manutenzione della chiesa le attività di questa congrega, abbiamo certezza che il sodalizio fosse anche impegnato in attività di tipo assistenziali: elemosine, maritaggi, funerali e mantenimento delle vedove. La confraternita quindi agiva, come anche altre realtà della diocesi, come un “ente previdenziale”.
Ovviamente per poter sostenere queste spese, che non erano poche, il sodalizio necessitava di rendite che non fossero soltanto elemosine o lasciti dei confratelli. Per esempio, da uno studio di Nello Ronga sappiamo da un censimento di fine ‘700 che l’Arciconfraternita del Gonfalone era proprietaria di circa 72 moggi di terreno e da questi riceveva: “fitti in grano” per 40 moggi, in ducati per 22 moggi e per 10 moggi parte in ducati e parte in grano. Comunque gli importi delle spese funerarie di cui si facevano carico le confraternite variavano molto in base alle prestazioni previste dalle rispettive “Regole”, nello specifico la confraternita, il giorno del funerale, faceva costruire una “castellana” nella propria chiesa. Non è da escludere che ai funerali partecipassero anche i confratelli di altri sodalizi che venivano ospitati dall’Arciconfraternita offrendo loro un “rinfresco” al termine delle funzioni.
Come detto, un altro compito della congrega era l’assistenza degli ascritti. Nella chiesa di Santa Maria degli Angeli – sempre secondo gli studi di Ronga – era istituito un “Maritaggio“, il benefico per una o più fanciulle di riceve una dote a spese di una confraternita o di un monte. In passato questo fenomeno sociale era abbastanza comune e diffuso, in questo caso il beneficio fu istituito con un lascito di 12 ducati su disposizione di Girolamo Visconti. Ci può invece suonare strana la pratica di provvedere al mantenimento delle vedove dei soldati. Consisteva in una pensione che la vedova poteva riceve e che a fronte della quale il marito, in vita, pagava la confraternita versando somme in denaro oppure donando appezzamenti di terreno.
Capiamo quindi, soprattutto dai registri di contabilità, che la gestione della confraternita era una vera e propria “impresa finanziaria”. Non a caso abbiamo definito questo uno dei sodalizi più ricchi della diocesi di Aversa. In città l’Arciconfraternita del Gonfalone era seconda soltanto alla SS. Trinità dei Pellegrini con i suoi circa 1200 ducati di rendita. Ma di queste somme di denaro cosa se ne faceva l’Arciconfraternita?
Ricordiamoci sempre che stiamo parlando di una congrega la cui principale attività era ovviamente il culto e la devozione per la Vergine Maria. Ed in effetti è in questo settore che si sono poi concretizzate le principali opere del sodalizio, anche in termini di impegni economici. Lo dimostra il fatto che a distanza di centinaia di anni ancora ricordiamo l’Arciconfraternita del Gonfalone del Santo Sepolcro per la sua chiesa e per il tesoro d’arte sacra che aveva commissionato. A metà del XVIII sec. fu addirittura chiamato Francesco Solimena che risistemò la chiesa dandogli l’attuale aspetto barocco e realizzò la pala d’altare della “Madonna del Gonfalone con San Bonaventura”.
La grande tela fu realizzata nel 1710 riproducendo il momento in cui la Madonna consegna a San Bonaventura da Bagnoregio il “gonfalone” del Santo Sepolcro (lo stesso a cui si rifà il titolo della confraternita committente). La Vergine siede in trono, su di un alto podio, con ai lati gli apostoli San Pietro e San Paolo; davanti a lei, proprio alle spalle di San Bonaventura, Solimena ritrasse in ginocchio tre rappresentanti della Confraternita (probabilmente proprio i committenti dell’opera). Da notare: uno di loro, il primo al centro della scena, è vestito di un sacco bianco con in capo un cappuccio come prescriveva la regola dell’arciconfraternita.
Purtroppo sono però andati persi altri arredi e suppellettili che furono commissionati dalla confraternita senza badare a spese. Quando nel 1933 la confraternita si estinse la chiesa fu assegnata all’Ospedale psichiatrico “Filippo Saporito” per servire come cappella ospedaliera. Le sue preziose opere dal 2019 sono custodite nella II Sezione del Museo diocesano in attesa di poter tornare nella loro sede naturale (i lavori di restauro della chiesa di Santa Maria degli Angeli sono iniziati nel 2018).
© Testo di Angelo Cirillo
In copertina: Particolare della cupola della chiesa di Santa Maria degli Angeli – (se si condivide l’articolo indicare le fonti).