Convento dei Cappuccini di Aversa
RUBRICA – FOTOGRAFARE L’ARCHITETTURA
(a cura di Mariano De Angelis)
Nelle campagne tra Aversa e Giugliano si erge fiero quel che resta del convento dei Frati minori conventuali, meglio noti come “Cappuccini“. Il complesso ha avuto origine quando nel 1545, favorita dalla città di Aversa, la comunità dei frati si insediò nella periferia verso Giugliano edificando un piccolo convento (nucleo originale dell’attuale edificio) vicino alla chiesa dedicata alla santa cumana, Giuliana di Nicodemia. Su questa chiesa i cappuccini ne edificarono una nuova, intitolata alla SS. Trinità, per usarla come chiesa conventuale.
Del complesso francescano oggi è possibile ammirare soltanto la facciata e qualche rudere. Per chi conosce il sito è chiaro il senso della frase di Roberto Vitale <<Ed ora dei Cappuccini non restano che squallide macerie e muri scheletrici>> scritta a conclusione della descrizione del sito nel 1954.
Si tenga presente che sono veramente poche le notizie sul convento dei cappuccini di Aversa e che l’architettura attualmente visibile non è l’originale nucleo della metà del XVI sec. bensì il risultante di successivi lavori d’ampliamento. Pasquale Saviano, in un recente studio sulla presenza cappuccina a Caivano (in diocesi di Aversa), ci ricorda come: <<l’espansione dei cappuccini sul territorio diocesano fu ben vista anche dal francescano papa Sisto V, il quale ad un anno dalla fondazione del convento di Caivano autorizzò nel 1587 con un suo breve la ricostruzione e l’ingrandimento di quello già esistente nel territorio di Aversa>>.
Difficile leggere la storia e l’architettura in un tale groviglio. Di contro la chiarezza delle linee, il motivo classicheggiante delle lesene e del timpano, la purezza delle forme geometriche ancora “gridano” ad una singolare nobiltà di questo luogo.
Oggi rimaniamo affascinati dalla facciata solitaria della chiesa della SS. Trinità (ripresa nella foto in copertina), che costituisce un chiaro esempio di architettura del XVII sec. ad Aversa. Il prospetto è caratterizzato dall’ordine gigante della coppia di doppie lesene scanalate con capitelli corinzieggianti e dal timpano triangolare alla sommità. Un secondo timpano arcuato al di sopra del portale d’accesso riempie la zona centrale della facciata insieme con un finestrone che doveva illuminare l’ambiente interno. Sullo scheletro della facciata appaiono evidenti quelli che dovrebbero essere colpi di armi da fuoco.
La successiva fotografia di Mariano De Angelis mostra invece uno degli ultimi spazi interni del convento dei Cappuccini. Sono infatti rimasti visibili pochi ambienti con colonne e con volte a crociera. Questo, voltato a botte, anche se tremendamente rovinato lascia intravedere i suoi stucchi seicenteschi.
La chiesa ed il convento dei cappuccini ci appaiono oggi devastati, non tanto dal tempo o da “disgrazia” quanto dall’incuria dell’uomo nell’ultimo secolo. Nei momenti di peggiore gestione del sito non è stato risparmiato dal diventare una abusiva discarica a cielo aperto. È doveroso quindi chiederci come un simile complesso sia caduto in un tale degrado.
Forse è ancora una volta lo storico Roberto Vitale a tentare di dare quantomeno una giustificazione storica, non certo sociologica, dell’abbandono. Leggendo la sua opera “Quasi un secolo di storia aversana” veniamo a conoscenza dei tanti e repentini cambiamenti di destinazione d’uso che il complesso ha subito in poco meno di cento anni, “trasformazioni” che sono alla base della sua decadenza.
Andati via i cappuccini ad inizio del XIX sec., il convento fu scelto come “succursale femminile” del più noto Manicomio della Maddalena di Aversa. Verso gli anni ’50 (come ricorda anche Gaetano Parente) fu poi affidato alla Congregazione della Passione di Gesù Cristo. I “Padri Passionisti” ampliarono e restaurarono il convento forse anche per far fronte ai danni che la struttura ebbe subito durante l’uso manicomiale; poi improvvisamente anche loro lasciarono il convento nel Febbraio del 1886.
Il comune di Aversa, sul finire dell’800, adibì la struttura a lazzaretto per l’epidemia di tifo che colpì la città e successivamente si decise di vendere e regalare arredi e suppellettili sacre poiché i vescovi non riuscirono ad affidarla a nessuna congregazione religiosa a causa della distanza dal centro abitato. La chiesa della SS. Trinità rimase officiata ancora per diversi anni in occasioni di feste e sagre popolari e fu lasciato un laico cappuccino a guardiania. Roberto Vitale conclude la sua descrizione del convento dei cappuccini di Aversa: <<ma ciò, che diede il colpo di grazia a tutto l’edifizio, fu l’alluvione del 29 Settembre 1938. Le acque torrenziali invasero il convento e la chiesa, vuotando finanche le sepolture e disseminando di crani e di stinchi i campi circostanti. Il fabbricato venne quasi tutto smantellato>>.
© Fotografia di Mariano De Angelis, testo a cura di Angelo Cirillo
In copertina: Facciata superstite del Convento di Aversa – (se si condivide l’articolo indicare le fonti).